di Nicola Hoffmann: architetto, artista visuale, saggista.


La collana del tempo

Sito in allestimento


L'Arte della Complessità Globale  =   Global Complexity Art   =   GCA

La creatività che crea il futuro






Cogliendo la sintesi di ricerche autorevoli, nella prospettiva storica del terzo millennio si pongono di fronte all'intera umanità, come baricentro esistenziale e culturale, tre tematiche interconnesse: GLOBALITÀ – COMPLESSITÀ - CREATIVITÀ EVOLUTIVA. Tra questi temi merita particolare menzione la nuova concezione del "tempo creativo" delineata dal Nobel per la fisica Ilya Prigogine, la quale traina la Scienza della complessità con la nuova cosmologia dell’Universo Creativo, spingendo ad una generale revisione epistemologica delle scienze e delle culture, oltre a promuovere una riflessione sulla dimensione del tempo che, dopo la conquista dello spazio planetario, è la “nuova frontiera” da conquistare. In breve è questo il paradigma propulsivo, il denominatore comune nella creazione del futuro, con cui interagisce la Global Complexity Art realizzando le sue espressioni, compreso il presente testo. Questo approccio artistico si basa sulla relazione neo-umanistica tra arte e scienza, che prosegue sulla strada aperta dal grande astista tedesco Joseph Beuys con il suo concetto di arte allargata.




La  Visione Globale

Performance: Viaggio shamanico nel tempo


Il contesto storico è quello della globalizzazione industriale e finanziaria, insieme al suo dispiegarsi nella rete mondiale dei mezzi di comunicazione, ciò che sospinge fitte interazioni tra fenomeni locali e globali. Risulta pertanto che il mondo appare sempre più piccolo mentre implode  gradualmente verso il tempo reale del "villaggio globale" previsto da McLuhan. E' questo anche il territorio esistenziale dell'umanità, quello che si proietta nella configurazione dell'Arte della Complessità Globale, la quale non può che affacciarsi sul panorama variopinto della globalità per creare un quadro adeguato della realtà. Certo, la dimensione globale non è solo uno spazio più ampio, ma è piuttosto l'insieme complesso di differenze spesso confuse e incompatibili, che richiede approcci multidisciplinari e parametri innovativi. Come risposta a tale esigenza, gli approcci e i parametri più idonei sono confluiti nel concetto di Visione Globale, che presiede all'interazione "locale-globale", divulgato particolarmente da Alexander King, membro di quel Club di Roma che salì alla ribalta per via della prima pubblicazione basata sull'ottica globale. Tanto è vero che questo "club" di scienziati, intellettuali e creativi di varie nazioni, fece clamore agli inizi degli anni '70 con il noto rapporto "I limiti della crescita", contenente le previsioni allarmanti sul rapido decrescere dei margini di tolleranza ambientali e delle risorse energetiche non rinnovabili -ciò che si definisce entropia- la cui entità si era potuta verificare per la prima volta con l'analisi complessiva del pianeta Terra. La conclusione logica del rapporto fu l'appello lanciato ai governi di tutto il mondo, ma riferito anche a semplici cittadini, affinché cominciassero a cambiare i vigenti modelli di sviluppo, tanto quelli economici e produttivi, quanto quelli socio-culturali e comportamentali, prima ritenuti indiscutibili e da allora dichiarati senza futuro. 



Venendo a parlare della metodologia analitica impiegata nella Visione Globale, lo strumento primario è rappresentato dalla Teoria generale dei Sistemi, ossia l'interpretazione del "mondo come un sistema di sistemi interattivi in evoluzione nel tempo”; tanto è vero che fu applicato anche dal System Dynamics Group del Massachusetts Institute of Technology (il MIT di Boston negli Stati Uniti), che fu incaricato a compilare suddetto rapporto su “I limiti della crescita” convenzionale. L’invenzione della Sistemica si riconduce al biologo austriaco Ludwig von Bertalanffi, 1901-1997; mentre dagli anni ‘60 il massimo teorico e filosofo della Teoria Generale dei Sistemi è rappresentato dalla figura carismatica di Ervin Làszlò. Già membro del Club di Roma e fautore del noto rapporto, Làszlò fondò a Budapest il Gruppo di Ricerca sull'Evoluzione Generale, dato il nesso imprescindibile tra Sistemica ed Evoluzione. Il fatto è che l'interpretazione Sistemica del mondo richiede gli strumenti adeguati per definire le dinamiche evolutive che i sistemi manifestano nel tempo, per cui la Sistemica si completa con i più recenti concetti evoluzionistici che vanno sotto il nome di Evoluzione allargata, ciò che per Làszlò rientra nella Teoria Generale dell'Evoluzione. Con l’aspetto importante che, come la Sistemica interpreta ogni settore della realtà, l'Evoluzione allargata si basa sulla scoperta di leggi evolutive analoghe tanto nei sistemi naturali della Terra e dell'universo intero quanto nei sistemi sociali e culturali dell'umanità. Perciò, la Sistemica e l'Evoluzione allargata, insieme permettono una Visione Globale nello spazio e nel tempo. 




Complex

Tuttavia manca ancora qualche tassello per completare i parametri della visione globale. Il punto è che le evoluzioni non sono né lineari né deterministiche, ma dimostrano piuttosto un carattere di "complessità creativa" alla quale  risponde propriamente la Scienza della complessità con la teoria termodinamica dei “sistemi dissipativi” di Ilya Prigogine. Anzitutto vi si afferma che le evoluzioni si manifestano oggettivamente nell'incremento di complessità dei sistemi, come il livello evolutivo di un qualunque sistema si rapporta al grado della sua complessità costitutiva: tanto più è complesso tanto maggiore è il suo grado evolutivo. Va chiarito che il grado di complessità di un sistema corrisponde alla quantità di componenti diversi più la somma delle loro relazioni reciproche. Significa che la semplice unione di componenti diversi rende un insieme piuttosto complicato e conflittuale, mentre con l’incremento delle loro relazioni si evolve verso un sistema complesso. La questione chiave è che l’evoluzione passa attraverso una crisi organizzativa dei sistemi il cui esito è incerto. Questa sorta di vulnerabilità è dovuta al fatto  che quasi tutti i sistemi, inorganici e organici, sono di carattere “dissipativo”, ossia “instabili”, in quanto dipendenti dall’interazione con il loro ambiente da cui ricavano energie esistenziali e in cui immettono scorie, entropia. Tutti usano energia, come gli organismi viventi mangiano e defecano, fino all’esaurimento delle risorse e la sovrapproduzione di scorie, con cui i sistemi entrano in crisi entropica. Questo stato critico, definito “lontano dall’equilibrio”, pone i sistemi di fronte a una “biforcazione” tra due opposti percorsi: o il declino o l’evoluzione. Tali opzioni sono definibili anche come due tipi di complessità opposte: entropia e sintropia. L'entropia è pari al degrado dei sistemi dovuta all’esaurimento di risorse e incremento di scorie, con cui s’afferma una complessità caotica pari allo stadio confusionale tra i componenti, che tende al collasso, la morte; mentre la sintropia corrisponde alla prodigiosa potenzialità dei sistemi a rovesciare la decadenza in rinnovamento –Prigogine parla di “auto-organizzazione” basata sulla coerenza interna- che usufruisce del caos strutturale come stato idoneo alla creatività evolutiva, tramite una riorganizzazione alternativa che ingloba i componenti prima contrastanti, creando cosi un sistema di maggiore complessità. Per questo ordine superiore di complessità sistemica si può usare un termine, antico ma molto appropriato, che è quello di "unione delle differenze".

Entropo & Sintropo

Lo stesso dinamismo evolutivo si verifica in tutti i sistemi, dalle strutture molecolari della materia inorganica a quella organica fino all’universo nel suo insieme, non di meno i sistemi socio culturali dell’umanità. Basta pensare che le conclusioni di Prigogine siano partite dalla ricerca su come la vita ha potuto evolversi dalla materia non vivente, riuscendo a individuare le suddette dinamiche evolutive in entrambe le sfere, organico ed inorganico, dell’esistente. È il meccanismo interno a quello che si chiama la selezione naturale, che premia la maggiore adattabilità. Si tratta propriamente di un meccanismo di “auto-organizzazione” che subentra nella fase acuta della biforcazione evolutiva, quando tutti i singoli componenti - molecole, cellule, individui - si comportano come se avessero la consapevolezza dell’insieme e lo inglobano in una nuova e comune economia energetica. Una sorta di fibrillazione collettiva che a livello atomico molecolare é un fenomeno elettrochimico, come nei sistemi biologici è di carattere istintuale e genetico, mentre nei sistemi socio-culturali questa consapevolezza dell’insieme matura tramite la percezione empatica e l’organizzazione delle informazioni mediante quella particolarità della mente umana che è la coerenza logica. Proiettata sui piani economici, legali, culturale, morale e psicologico, la coerenza logica spiana le contraddizioni dei sistemi sociali, includendo soggetti e aspetti prima esclusi, ciò che equivale all’evoluzione verso un sistema più complesso. Secondo la filosofia evoluzionistica di Làszlò, che teorizza il concetto prigoginiano dell’auto-organizzazione proietto sui sistemi socioculturali della globalizzazione, dove la consapevolezza dell’insieme, cioè la visione della globalità provocata dalle crescenti contraddizioni vicino alla biforcazione storica, sarebbe recepita e manifestata anzitutto dagli individui più perspicaci e con maggiore percezione empatica, definiti “creativi sociali”, che sono come i germi antropologici di un ipotetico “uomo planetario” del futuro. È del tutto ovvio che la Global Complexity Art si muova in sintonia a queste ipotesi di futuro, mettendo in circolazione fermenti di creatività evolutiva, per stimolare l’insorgere di una “coerenza dei valori” insieme ad una più ampia empatia estesa a livello planetario, indicati ad includere soggetti e aspetti fin’ora esclusi, ciò che equivale a promuovere il prossimo passo evolutivo dell’umanità.




VIaggio shamanico nel tempo


Per concludere questa prima parte dell’introduzione alla creatività che crea il futuro, non si può dimenticare la nuova visione cosmologica, base di un’evoluzione del sistema scientifico, derivante dalla concezione evolutiva di Prigogine. Sia solo accennato che è in questo contesto che si afferma la nuova teoria del tempo di Prigogine, per la quale l’entropia, cioè la fase degenerativa dei sistemi, corrisponde alla tradizionale concezione del "tempo divoratore", mentre la sintropia, cioè la fase di auto-riorganizzazione creativa dei sistemi, si manifesta una funzione complementare alla dinamica temporale, sin ora sconosciuta, che  è quella del "tempo creativo”. Contrariamente alla concezione tradizionale del tempo che si rapporta ai movimenti meccanici nello spazio, come i periodi orbitali dei corpi celesti che ci danno il calendario e l’ora, la nuova concezione del tempo di Prigogine si rapporta anche alle evoluzioni creative, quindi al percorso del divenire che traccia la profonda identità dell’esistente. Pertanto Prigogine parla dell’apparente “paradosso del tempo”, perché non solo si manifesta nell’invecchiamento, come da sempre si disse, ma anche nella crescita del nuovo, la cui espressione perpetua è l’evoluzione continua dell’universo e d’ogni sua parte. In altre parole, diversamente della circolarità ripetitiva delle ore e delle stagioni, ma analogamente alla conta degli anni d.C. a cui si aggiunge il concetto di progresso, il “tempo creativo” procede in forma cumulativa, ossia irreversibile e nello stesso senso della “freccia del tempo”, che va solo avanti, creando la “differenza tra il prima e il dopo”. Ebbene, la cosa più paradossale è che questa fenomenologia temporale, di fronte agli occhi di tutti, non è mai stata scientificamente formulata dalla tradizionale cosmologia meccanicistica, dato che solo Einstein incluse il tempo come quarta dimensione del reale, sebbene con equazioni di reversibilità, quindi non irreversibile come è l’evoluzione. Tanto è vero che mantenne la visione statica dell’universo ereditato dall’antichità. Pertanto la nuova concezione del “tempo creativo” di Prigogine, insieme alla cosmologia della complessità e dell’evoluzione universale, spinge ad una generale revisione epistemologica della scienza moderna. Da tempo iniziata col passaggio dalla cosmologia della “creazione finita” a quella della “creazione continua”, gradualmente la revisione epistemologica delinea il cosiddetto “universo post-einsteiniano” con cui la concezione scientifica dominata dalla meccanica viene ridimensionata con il crescente rilievo della termodinamica. Questo comporta il ridimensionamento delle fredde leggi della meccanica, con cui è stata costruita la “civiltà della macchina”, per dare spazio alla termodinamica che si rapporta ai parametri della Vita alimentata dal sole. In quest’ottica Prigogine tratta nel suo noto libro “La nuova alleanza” di una nuova relazione cultura-natura in grado di ricomporre il divario insostenibile tra lo sviluppo della civiltà e il degrado della biosfera. Oltre al fatto che, dato il denominatore comune è la “creatività evolutiva”, in questa prospettiva s’avvicina anche una nuova alleanza tra scienza e arte. E dato che queste nuove alleanze evolvono con approcci multidisciplinari, non è fuori luogo vedere nei termini progressivi di uno sviluppo mondiale ecosostenibile il concretizzarsi di un Nuovo Umanesimo. Chiaramente la Global Complexity Art partecipa, dando voce ed immagine, a questo trend evolutivo.



Lavoriamo per voi


L'insieme degli approcci sin ora annoverati determina le principali coordinate operative che formano la Visione Globale adottata dall'Arte della Complessità Globale. L'immagine che la Visione Globale compone della realtà è profondamente alterato rispetto alla tradizionale visione dell'universo, della Terra e dell'uomo stesso. Essa rivela che la crescente complessità caotica del degrado per un verso, e lo sviluppo in complessità organizzativa per l’altro verso, sono dinamiche complementari che interagiscono nella creazione evolutiva. Inoltre dimostra che tutto si trasforma sotto la spinta dell’evoluzionismo universale; rivelando, in base all’indeterminismo delle biforcazioni, che questo universo animato da continui processi evolutivi, nell’insieme come in ogni sua parte, dimostra di avere un carattere essenzialmente creativo. Per cui la scienza è passata dalla concezione statica della “creazione finita” a quella dinamica della “creazione continua”. Si può aggiungere che la scoperta della creatività universale è stata anticipata da tempo dalle intuizioni dal grande filosofo della scienza Henri Bergson (1859-1941), espresso dal suo concetto di “universo creativo”, a cui fa riferimento anche Prigogine. Si può dire che questo dinamismo universale richiama l'affermazione di Eraclito "tutto scorre", che però va ora completato dicendo “tutto scorre verso il degrado o l’evoluzione”. Infine va sottolineato che la scoperta di questo universale dinamismo evolutivo impone a riconoscere, in primo luogo, che esiste una continuità tra la forza creativa della natura universale e la creatività dell'uomo, e come per il suo tramite la creatività universale sospinge con leggi analoghe l'evoluzione culturale dell'umanità. In secondo luogo si deve riconoscere che l'evoluzione socio-culturale sulla Terra, osservata all'epoca della globalizzazione, ha tutte le caratteristiche del rapido avvicinamento alla fatidica biforcazione, dove le opzioni sono o la catastrofe entropica mondiale o il consapevole coordinamento della creatività umana per l'emancipazione globale verso un sistema di complessità planetaria. È una concezione condivisa da molti scienziati e uomini di cultura di tutto il mondo. Per fare un esempio, è proprio questa logica che ha guidato Alexander King nel suo libro “Questioni di sopravivenza”, dove ipotizza una “prima rivoluzione globale” e l’avvento di una “società planetaria”. Non a caso King ha scritto questo libro 20 anni dopo il noto rapporto del Club di Roma a cui partecipò lanciando i primi appelli per una “svolta globale”. Da allora è passato molto tempo e siamo entrati nel Terzo Millennio, con una crescente consapevolezza pubblica che s’allarma a livello mondiale per le lentezze governative rispetto ai cambiamenti di rotta richiesto dai vari convegni mondiali indetti dalle Nazioni Unite sul tema del cambiamento climatico, a cominciare dal Summit di Rio del 1992 e il Protocollo di Kyoto del 1997. Mentre in realtà la “svolta globale” è diventata ancora più difficile per la forte industrializzazione di paesi prima arretrati, come Cina, India, Brasile, che necessariamente usano modelli di sviluppo ormai anacronistici, incrementando ulteriormente gli squilibri ambientali pagati da tutto il mondo con crisi eco-climatiche sempre più marcate, i quali riempiono i notiziari con la descrizione di catastrofi che tragicamente continuano ad abbattersi su ogni continente del pianeta. La biforcazione storica s’avvicina vistosamente. Scrive Jeremy Rifkin: “Intanto, i mali che affliggono il mondo globalizzato - crisi economica, disoccupazione, povertà, fame e guerre - sembrano aggravarsi anziché risolversi. A peggiorare le cose, si profila all'orizzonte un catastrofico cambiamento climatico provocato dalle attività industriali e commerciali ad alte emissioni di gas serra, e che già entro la fine di questo secolo potrebbe mettere a repentaglio la vita dell'uomo sul pianeta. La nostra civiltà, quindi, deve scegliere se continuare sulla strada che l'ha portata a un passo dal baratro, o provare a imboccarne coraggiosamente un'altra.” (La terza rivoluzione industriale, Jeremy Rifkin, Ed. Mondadori 2011). In termini simili scrive Luca Mercalli: “Mai tante crisi tutte insieme: clima, ambiente, energia, risorse naturali, cibo, rifiuti, economia. Eppure la minaccia della catastrofe non fa paura a nessuno. Come fare? Ci vuole una nuova intelligenza collettiva” (Prepariamoci, Luca Mercalli –Ed. Chiarelettere 2011).



Il grido antico


Nell’insieme delle situazioni drammatiche, che caratterizzano lo stato evolutivo del mondo contemporaneo, si trova la chiave interpretativa di molti dei progetti evolutivi verso una nuova e più organica organizzazione mondiale dell’umanità, in cui si condensa senz’altro il prossimo scalino evolutivo del genere umano. Intanto è da tempo che s’intravedono, per un verso attraverso le alte sfere della finanza e della politica mondiale, l’attuazione progressiva di strategie idonee a instaurare un “nuovo ordine mondiale”; mentre, per un altro verso, intellettuali di tutto il mondo - tra cui quelli già menzionati- e vari gruppi di “creativi sociali”, come quelli che si richiamano ad Ervin Làszlò e il Club di Budapest, lavorano per una revisione epistemologica delle scienze e delle culture, inteso come presupposto per la creazione di una civiltà mondiale basata sulla maturazione di una coscienza planetaria: obiettivi, questi, che includono la mutazione antropologica verso “l’uomo planetario” da tempo sognato dai neo-umanisti. Sarebbero, dunque, i contorni promettenti dell’opzione evolutiva per la salvezza del mondo, tuttavia anche questa opzione non appare semplicemente lineare. Considerando, infatti, il trend dominante della storia contemporanea, non mancano motivi di preoccupazione, in quanto l’evoluzione verso un sistema globale ammette vari modelli che si differenziano dal grado di democrazia reale o della sua mistificazione, e sono sintetizzabili in due tipologie fondamentali. Una è l’evoluzione delle strutture dei poteri del mondo mediante coordinamento di alta complessità nel superpotere di un Impero Globale, che realizzerebbe il “sogno di tutti gli imperi” del passato. Questa ipotesi della supergerarchia piramidale di un potere globale centralizzato è stata descritta molto bene nel libro “Impero” di Michael Hardt e Antonio Negri, quest’ultimo un noto professore italiano di scienze politiche, che lo definisce come un sistema di governo complesso, legalmente non formalizzato né localizzabile geograficamente, che delimita ampiamente le sovranità nazionali e il reale funzionamento di ogni democrazia, già in fase di progressiva realizzazione (Ed. BUR Saggi, 2003). L’altra opzione di evoluzione consiste nella possibilità di una progressiva e mirata emancipazione antropologica dell’umanità che interagisce con l’evoluzione creativa di una democrazia globale, che potrà realizzare la sua maturazione generalizzando i parametri di una cultura della complessità, che abbatte ogni gerarchia a favore della capacità funzionale. Questo trend  è confrontabile con “La prima rivoluzione globale e il futuro dell’umanità”, il libro scritto da A. King e B. Schneider, che descrivono l’evoluzione verso la “prima società planetaria” (Ed. Mondadori, 1992). Questo tipo di progetto mondiale, che propone dei sistemi di democrazia socio-culturale più evoluti con un più alto livello di complessità, ha uno dei suoi più autorevoli profeti nel sociologo francese Edgar Morin, il quale discute le connesse questioni scientifiche e antropologiche nei suoi libri, come quello intitolato “Patria-Terra” (Ed Raffaello Cortina, 1994). Mentre nella sua opera, “La via - Per il futuro dell’umanità”, Morin sottolinea la necessità di un’evoluzione politica verso la cooperazione globale “nella prospettiva di un nuovo umanesimo”, a livello globale naturalmente. In questo contesto si può anche specificare che per il pensiero neo-umanista, come per l’artista tedesco Joseph Beuys, ogni prospettiva storica tende verso un Umanesimo Globale; così per la Global Complexity Art. Inoltre, parlare di umanesimo obbliga il riferimento alla particolare storia culturale dell’Europa, dall’antica Grecia con l’invenzione della democrazia e l’affermarsi dei primi liberi pensatori nella figura dei suoi filosofi, fino all’umanesimo rinascimentale che, passando per l’Illuminismo e la Rivoluzione francese col motto dell'universale verità antropologica di "Libertè-Egalitè-Fraternitè", hanno creato la base della moderna cultura europea, tramite la cui espansione coloniale si è formato il Mondo Moderno con i suoi concetti di democrazia, di libertà e dignità umana. Con l'ipotesi che l'Unione Europea da poco nata, composta da stati con differenti culture e linguaggi che furono nemici acerrimi nel passato e ora cooperano, visti nella prospettiva del futuro, essa ha le migliori premesse a svilupparsi come modello generalizzabile per un sistema sociale mondiale di maggiore complessità: una “unione delle differenze” globale. Oltre al fatto che l’Europa, dopo 500 anni di colonizzazione mondiale con cui ha distrutto innumerevoli culture autoctone, ciò che sottende al marasma contemporaneo, per questo e per la sua eredità culturale unica le "culture unite d'Europa" dovranno investirsi dell’obbligo di moralità storica a dare il massimo contributo possibile all’evoluzione umanistica di un futuro sistema globale. Tuttavia, per concludere va pure menzionato una terza via, siccome nella visione realistica del futuro esistono le probabilità per una combinazione variabile dei due modelli di evoluzione mondiale fin qui ipotizzati; dove la primo predominerà nei tempi più vicini, mentre il secondo modello potrà maturare nei termini di un più lungo percorso. In definitiva è proprio in coincidenza a questi bivi storici che l'Arte della Complessità Globale ha una sua più ampia ragione d'essere. 








Finestra sul mondo 3

             L'occhio di Giano

Il ventaglio degli approcci scientifici che compongono il concetto di Visione Globale, oltre agli apporti provenienti dal mondo dell'arte e della cultura umanistica, fornisce il materiale con cui la Global Complexity Art costruisce l'impalcatura per la creazione di una metaforica "Finestra sul mondo". Mentre per un altro verso, nel considerare piuttosto le ripercussioni esistenziali ed antropologiche generati dall'uso della Visone Globale, l'Arte della Complessità Globale si definisce propriamente come "l'Arte di vedere il mondo", ciò che da anche il nome ad un'altra serie di opere dedicata alla nuova visione del "globo oculare". Si tratta di un’esigenza da tempo affermata da Marcel Proust: "Non è importante vedere nuovi paesaggi ma avere nuovi occhi". Infatti, La Global Complexity Art implica, applica e promuove, i parametri necessari per un nuovo modo di vedere, con una nuova sensibilità, elementi per spalancare gli occhi creando gli spazi per una nuova apertura mentale, ciò che è assolutamente necessaria a visualizzare la globalità del mondo in cui viviamo: è il mondo reale che si estende non solo nello spazio ma anche nel tempo. E' come creare un ologramma mentale con l'immagine del mondo formato dall'accumulazione stratificata della sedimentazione archeologica di reperti del passato. Sono le tracce di avvenimenti e segni dei mutamenti con cui il tempo ha tracciato la topografia storica del territorio mondiale; sono l'eredità del mondo in attesa di essere coordinato con gli sviluppi del presente per essere proiettati nel futuro.  Proprio in questo senso il grande semiologo russo Mikhail Bachtrim ha definito il mondo "un grande cronotopo", una topografia del tempo, che evolve dalle più lontane origini e si proietta -grazie alla creatività umana- nei migliori dei futuri possibili. In definitiva, la Global Complexity Art dipinge l'immagine del presente collocato tra passato e futuro, dove, infatti, sono radicati la nostra vera identità e la progettualità creativa autentica. Si tratta semplicemente della reale identità umana registrata nel DNA, quella che si conferma nella quotidiana relazione tra sfera locale e globale, giungendo ad ammettere di essere tutti figli della Terra e membri della grande famiglia umana nonché imparentato con gli altri abitanti della Terra, fino ad elevare la consapevolezza al livello adeguato per diventare cittadini del mondo che hanno in comune quello che Edgar Morin chiama la "Terra-Patria".

L'occhio di Giano

Indubbiamente la Visione Globale sembra incorporare l'ottica bi-prospettica dell'antico dio del tempo Giano, ma più appropriatamente si tratta di una compressione temporale coerente con l'implosione spaziale inerente alla globalità, per cui rappresenta un’estensione dell'evoluzione culturale verso il "presente allargato" che avanza con i mezzi di comunicazione planetari. In questa nuova visione, ad esempio, lo scioglimento dei ghiacciai causato dal riscaldamento atmosferico appare come ultima fase dello scioglimento dell'era glaciale, che ebbe inizio 10 mila anni fa con il sorgere dell'attuale era solare; come la contemporanea distruzione delle ultime comunità arcaiche rappresenta la fine della forma sociale che fu in vigore durante questa era glaciale, mentre la sua distruzione iniziò con l'invenzione storica del sistema città-stato che gradualmente venne a dominare il mondo distruggendo i primi. In conclusione è con questa stessa prospettiva spazio-temporale della Visione Globale che la Global Complexity Art compone l'immagine "cronotopa" dell'umanità, per dipingere l'affresco virtuale che ritrae, a partire dal marasma globale odierno, l'avvento progressivo del "uomo planetario" e del suo habitat rinnovato a misura dell'uomo e della natura.



-Il capello di feltro-
Performance "l'Arte di vedere il mondo"

Per il particolare approccio interdisciplinare della Global Complexity Art, insieme alle specifiche prospettive globali in cui svolge la sua attività creativa,  si può dire che per vari aspetti proseguono la strada indicata dal grande artista tedesco Joseph Beuys. Insieme alla sua figura carismatica di shamano e di grande maestro, la sua opera complessa è considerata l'espressione artistica più alta della seconda metà del Novecento, mentre il suo insegnamento continua ad essere fondamentale per il futuro dell'arte mondiale. Secondo Mario B. Montandon "tutto il terzo millennio avrà le radici nel pensiero beuysiano". In sintesi l'opera di Beuys si basa sulle relazioni interdisciplinari tra arte e scienza nel rapporto natura-cultura, con un approccio definibile neo-umanistico sia perché rievoca la versatilità dei geniali artisti-scienziati dell'Umanesimo rinascimentale, sia perché coinvolge ugualmente la variegata tematica dell'emancipazione umana. "E' importante -afferma Beuys- che l'umanità si emancipi verso una nuova umanità". Per quanto sia cambiato il linguaggio tra l'Umanesimo antico e il neo-umanesimo di Beuys, per entrambi l'evoluzione antropologica dell'umanità è vista in rapporto proporzionale allo sviluppo della sua creatività; una creatività -si noti bene- non da indurre ma da "liberare" in quanto facoltà innata nell'uomo. "Io cerco di portare alla luce -egli disse- la complessità delle aree creative". In tal senso Beuys carico di grande importanza la relazione arte-uomo, reclamando dallo sviluppo dei sistemi sociali lo spazio culturale ad esercitare quella che è una peculiarità dell'uomo, cioè il libero arbitrio, da Beuys indicato come presupposto irrinunciabile a liberare l'innato potenziale di creatività che è radicata nella identità antropologica di ogni essere umano. Ciò che esprime bene il suo famoso motto "ogni uomo è un artista". Insieme alla sua visione evolutiva di un'umanità potenzialmente creativa, Beuys sviluppo il concetto di "arte allargata" indirizzato a coinvolgere l'intero spettro delle attività umane in una dinamica evolutiva che eleva il lavoro umano al livello di arte. Nulla di nuovo in assoluto se confrontato al sistema delle Arti liberali o alla relazione arte-artigianato nel Medioevo. Con la generalizzazione della creatività umana, per Beuys la prospettiva storica del suo concetto di "arte allargata" è nella progressiva incidenza sull'evoluzione creativa dell'habitat umano con cui l'intero pianeta si trasformerà in una "opera d'arte ecologica globale". Secondo Beuys in questa prospettiva si attenua progressivamente il contrasto cultura-natura, in riferimento anche al concetto platonico alla base del pensiero umanistico, e cioè che la natura sia stata creata "come un'opera d'arte". 
Per maggiori dettagli consiglio di leggere "Il cappello di feltro" scritto da Lucrezia De Domizio Durini (Edizioni Carte Segrete 1991). 


La Psiche
(dal video Velare-Svelare-Rivelare)
Ciò che si può definire come l'utopia neo-umanistica di Beuys trova qualche interessante confronto con l'Umanesimo rinascimentale, specie per l'esplosione di creatività artistica in ogni campo che creò un insieme mirabile di opere anche esso considerato un modello utopico per il mondo del futuro. Sebbene fosse ciò che Beuys definì "utopia concreta", poiché fu in questo modello che si creò l'immaginario di fondazione e di identità della moderna cultura europea, e non solo, poiché si estese a diventare il Mondo Moderno. D'altronde  non è detto che l'energia propulsiva dell'Umanesimo sia giunto al suo termine, visto la sua continuità nell'esperienza di un grande artista contemporaneo come Beuys. La stessa cosa vale anche per il rapporto tra creatività ed evoluzione umana, considerando che per gli umanisti rinascimentali l'arte, prodotta e/o goduta, sensibilizza e coltiva i cinque sensi, elevando l'uomo dallo stato rozzo. In pratica i sensi sono definiti le "porte dell'anima" tramite le quali l'arte raffina e purifica la psiche dalle scorie obsolete degli istinti animali, elevando le pulsioni emotive oltre la sfera riproduttiva, con cui l'anima s'illumina di universalità creativa in cui trova la somiglianza col Creatore. Tanto è vero che gli artisti rinascimentali, in quanto creatori universali, furono considerati più vicini al modello umano definito dalla Bibbia "ad immagine e somiglianza" del Creatore. Per questo alcuni grandi pittori del tempo si raffigurarono a somiglianza dell Creatore, vedi il Perugino, Dürer, Leonardo ecc. Sotto questo profilo antropologico è proprio l'immagine visuale a trovare la sua rilevanza, poiché gli Umanisti rapportarono la creatività dell'uomo allo sviluppo dell'immaginazione che crea le immagini, non dimeno dagli scienziati di oggi. I testi parlano dell' "Imaginatio" inteso come occhio interiore, simile al Terzo occhio induista, che in occidente trova la sua analogia con l'Occhio di Dio, anch'esso solo uno, che denota il Creatore, nella cui somiglianza l'artista visuale crea le sue immagini. Infatti l'occhio interiore della immaginazione, coltivato e sensibilizzato a interagire con tutti i sensi, è stato definito  come un "senso comune" che s'illumina con una visione che crea le immagini della realtà invisibile che sottende alla fenomenologia superficiale delle cose: ecco la creazione umana come intermediaria della creazione divina. Non a caso, in tutte le culture, è con le opere della creatività artistica che venne onorato il Creatore.


La mano del destino
Nell'associarsi agli strumenti interdisciplinari necessari per una nuova e più ampia visione spazio temporale del mondo,  la Global Complexity Art vuole distinguersi dalla superficialità di molta dell'estetica postmoderna, applicandosi a delineare l'abbozzo di un immaginario artistico del mondo contemporaneo più profondo e di maggiore spessore antropologico, in modo da essere in grado a dare una continuità essenziale, e non solo in temi stilistici, in rapporto ad una storia mondiale dell'arte visiva. I parametri della visione globale, usata anche in questo caso dalla Global Complexity Art, trovano la loro applicazione più idonea nel concetto di Storia Totale.   Questo temine fu coniato negli anni '30 da uno dei maestri della ricerca storica, Fernand Braudel, che lo intese come nuovo approccio alla ricerca storica mediante la multidisciplinarietà, la Novelle Histoire, mentre più recentemente il concetto di  Storia Totale è stato riformulato nella pratica di ricerca dell' archeologo italo-israelano Emmanuel Anati, che aggiunse  al termine la connotazione di spazio globale e totalità della storia umana. Anche in questo caso l'approccio alla globalità richiede nuovi parametri. Una prima particolarità della Storia Totale è che non indaga tanto sulle diversità e sui fattori che hanno divisa la storia dell'umanità - imperatori, re, condottieri, religioni e connesse battaglie- ma tende piuttosto a rilevare i comuni denominatori che sottendono all'insieme delle culture apparse sulla faccia della Terra da quando esiste l'uomo. Osservando sotto questo profilo l'insieme delle culture premoderne, ovvero le culture antiche e quelle "tradizionali" dei nostri giorni, un primo denominatore comune è dato dal fatto che le espressioni artistiche antiche e tradizionali, sempre ed ovunque, interpretano in forma esplicita o implicita il sistema mitologico/religioso della rispettiva etnia. In altre parole, a monte della rappresentazione circostanziale, ovunque il vero soggetto della creazione artistica è il mito. Per comprenderne il significato va chiarito che i racconti mitologici sono i segmenti di un insieme che è la rispettiva concezione cosmologica, complessa ed iniziatica, di cui sono la rappresentazione figurativa e divulgativa. All'interno di queste strutture cosmologiche, di per se immutabili nel tempo, vi è una componente dinamica di massima rilevanza culturale, quella della cosmogonia, ossia il racconto della creazione del mondo. Ovviamente l'idea di creazione o procreazione del mondo implica la figura divina del Creatore, demiurgo, padre e/o madre, antenati, ecc.  Tanto è centrale il mito di "creazione" o "nascita" del cielo e della Terra che è in esso che ogni cultura tradizionale riconosce il suo particolare significato in termini di discendenza, identità e rilevanza nel mondo. Non dovrebbe  meravigliare, pertanto, che l'atto creativo del mondo venne ovunque riattualizzato nel rito di "fecondazione-fondazione" di ogni spazio consacrato, sia nella fondazione di città, di templi e di palazzi, come di  semplici insediamenti, capanne, ecc. Ovunque "la creazione umana imita la Creazione divina" mise in evidenza il noto storico delle religioni Mircea Eliade.  In effetti questa relazione cosmologia-società richiama l'antico detto "in basso come in alto", che si ripercuote nell'analogia tra gerarchie sociali e gerarchie celesti; nondimeno nelle strutture architettoniche-urbanistiche per cui le antiche città  furono chiamate "specchi del cielo". La stessa omologia tra creazione cosmica e creazione umana è ampiamente contemplata in un sistema di diagrammi riconducibili al concetto di "mandala" che il grande orientalista italiano Giuseppe Tucci ha definito "psico-cosmogramma". I mandala tracciano lo schema spaziale usato nei suddetti riti è piante di fondazione; in tutto il mondo e sin dai tempi più remoti; come in india presiedono tutt'ora alla configurazione di tutte le arti tradizionali. Si può anche considerare che il sistema mandalico è parte dell'antica ed universale concezione della relazione analogica tra il microcosmo del corpo umano e il macrocosmo, legata all'idea di universo vivo e animato, da cui discende l'antica sintonia tra anima umana e Anima mundi. E' in questa rete di interazioni complesse che trova la sua logica il concetto di analogia tra creazione cosmica e creazione umana, per cui Eliade poteva scrivere che nel Mondo Antico "l'arte umana imita l'arte divina". In conclusione è questa continuità tra la creatività dell'universo e la creatività umana che ritrova la sua attualità oggettiva nelle testimonianze scientifiche che sottendono alla Evoluzione allargata, fino alla sua trasposizione in termini artistici realizzato dalla Global Complexity Art che, insieme alla sua proiezione in un futuro possibile, rivaluta i comuni denominatori culturali che sottendono alle arti del passato. 


Mani che parlano

Un'altro aspetto peculiare della Storia Totale è che il suo campo d'indagine retrocede nel tempo ben prima al formarsi delle aree storiche della "civiltà", per giungere a sondare l'immensità temporale del territorio abitato dall'umanità del Primo Evo. ln altre parole la Storia Totale include il divenire culturale dell'umanità durante le epoche perentoriamente discriminate come Preistoria; altrettanto essa include i prolungamenti del Primo Evo nelle comunità arcaiche che, in numero sempre minore, hanno vissuto accanto alle evoluzioni storiche, ugualmente discriminati come "primitivi", invece di essere denominati "primari" che implicherebbe tutt'altra connotazione di valore. Nell'ottica della Storia Totale la barriera ideologica tra preistoria e storia inizia con l'invenzione e diffusione del sistema sociale che oggi domina il mondo, ossia quello urbano-statale, la cui origine si colloca in Mesopotamia intorno a 3,500 anni a.C. con la fondazione della città-tempio di Ur insieme alla costruzione piramidale della prima Ziggurat. In seguito, con una traslitterazione mitica, questa costruzione s'identificò con la "Torre di Babele", costruita dagli Asiro-Babilonesi, gli eredi diretti della cultura sumerica. In effetti Ur è un grande denominatore comune della storia mondiale.  E' il modello originario del sistema città-stato, un insieme che appare come nuovo organismo socio-culturale, ad un tempo organizzazione urbana dell'abitare e struttura materiale e simbolica del potere gerarchico, la cui storia evolutiva è il soggetto intrinseco della "storia" definita tale. Ur è il prototipo di città-stato, che dalla parola latina di "civitas" trova l'origine etimologico di "civiltà", nasce con la vocazione univoca di creare un "nuovo ordine del mondo", la cui ireggimentazzione, in definitiva, è la "storia della civiltà". Basta pensare che ad Ur venne compilato la prima grande computazione del tempo, con il sistema sessagesimale che usiamo tutt'ora, dai dodici mesi del calendario alle 2 volte 12 ore del giorno, 60 minuti e 60 secondi dell'orologio; il cerchio da 360° e la ruota; da Ur venne Abramo, il padre comune alle 3 religioni monoteiste, quindi anche ila tradizione giudaico-cristiano dell'occidente; oltre ai sistemi statali e urbanistici che gestiscono il territorio mondiale. Considerando Ur la frontiera cronologica tra storia e preistoria, il primo dato considerevole è l'norme squilibrio  esistente tra le due sponde temporali, con circa 5.000 anni di storia a confronto di circa 50.0000 anni di preistoria della nostra specie. Ma la cosa ancora più rimarchevole nel nostro contesto è il fatto che la "storia  scritta" della civiltà ha il suo precursore nella testimonianza della preistoria "descritta" dal patrimonio mondiale di una enorme quantità di opere d'arte create dall'umanità primoevale ovunque vivesse, con la permanenza di reperti che hanno sfidato i millenni formando un immenso archivio di carattere pittografico, lasciatoci a descrivere la storia della preistoria. E' proprio la documentazione globale di questo patrimonio tanto artistico quanto storico a cui l'archeologo Emmanuel Anati ha potuto attingere nel suo ruolo di direttore del Centro Camuno di Preistoria, dalla cui sede in Val Camonica ha organizzato innumerevoli simposi internazionali tra archeologi, antropologi e paleoantropologi di tutto il mondo; senza contare la gestione dell'Archivio Mondiale dell'Arte Rupestre per conto dell'UNESCO. In questo contesto, dato dallo sviluppo dei mezzi tecnologici di comunicazione e di archiviazione digitale della documentazione mondiale, che per Anati, rivestendo un ruolo d'indubbia centralità organizzativa, è diventato possibile avere una visione globale idonea a formulare i  primi tratti concreti per una Storia Totale. 



 Le orme del divenire


Un primo dato sbalorditivo, documentato dall'insieme dei reperti pervenutoci dall'epoca preistorica,  è che oltre il 90% riguarda materiale artistico, espressioni di arte visiva, motivi estetici sia figurativi e naturalistici sia  astratti a forma di simboli e diagrammi, con tecniche a graffito come disegni incisi, pitture dipinte, bassorilievi e sculture a tutto tondo. Il tutto fu affidati intenzionalmente a supporti durevoli nel tempo, anzitutto alla roccia, più recentemente all'esterno, più indietro nel tempo a grotte naturali, come quella di Altamura descritta come "Capella Sestina della preistoria", oltre all'arte mobile in ossa e avorio tra cui le cosiddette "Veneri". L'insieme di questi reperti estetici rappresentano l'illustrazione  codificata dei rispettivi mondi culturali inerenti alle varie epoche coinvolte, accomunati dalla volontà di sfidare il tempo che presiede a ogni evoluzione. Secondo la cronologia assoluta, retrocedendo nel tempo il periodo preistorico è formato dal Neolitico durato 4-5 mila anni a cominciare dalla fine dell'Era Glaciale intorno al 8000 a.C.: ad esso precedete il Paleolitico superiore, che inizia circa 45 mila anni prima, durante la Glaciazione di Würm, con cui finisce per l'avvento dell'odierna epoca solare. La cosa più importante è dato dall'evidenza che tutta la grande creatività artistica, che danno testimonianza primaria della preistoria, ebbe origine nel Paleolitico glaciale, più precisamente l'arte visuale ebbe iniziò e diffusione insieme alla nascita e diffusione dell'odierno genere umano, il Cromagnon detto anche sapiens sapiens. Tanto è vero che per Anati l'evoluzione culturale dell'epoca è propriamente una "esplosione dell'arte", per cui il noto paleoantropologo Richard E. Leakey definisce giustamente il periodo del Paleolitico superiore come "l'Età dell'Arte". Risulta, quindi, che l'arte visuale è stata originariamente il fattore determinante nel processo di umanizzazione culturale dei nostri più lontani progenitori. Anzi, si dovrebbe parlare di un vero e proprio "umanesimo" ante litteram. Come è altrettanto rilevante rendersi conto che questo primario strato culturale della nostra specie circoscrive la radice comune dell'intera umanità, oltre a rappresentar la matrice antropologiche della creatività umana. In questo contesto, uno dei primi grandi paleoantropologi, André Leroi-Gourhan, descrisse il Paleolitico come "le radici del mondo". Rimane solo da sottolineare che la promozione per la consapevolezza di questa comune identità antropologica, in quanto sottende a tutte le divisioni culturali fomentate dalla storia, rappresenta una comune matrice di riferimento per una evoluzione antropologica del genere umano che dovrà pur giungere a creare una  società planetaria composta da cittadini del mondo che si sentono, come ogni unità culturale, uniti da origini comuni.


Per concludere si può ribadire che la Global Complexity Art si definisce neo-umanista anzitutto per il fatto di porre l'arte implicitamente in rapporto all'emancipazione umana. Non per dare una finalità all'arte che sia esterno alla sua natura, ma al contrario, per liberare la naturale creatività dell'uomo che sottende ugualmente all'arte, facendo leva su questa relazione di reciprocità. Oltre al fatto che l'immaginario creato nella dimensione globale, in quanto traduce una realtà comune ma non acquisita comunemente, mette in moto una potenziale elevazione di coscienza collettiva, insieme a quella di una nuova sensibilità caratterizzata da un più ampio raggio di empatia. Ciò che in vari ambiti si definisce "global shift", ossia una "svolta globale" per intraprendere il percorso evolutivo verso una coscienza planetaria. Parlando, invece, del più stretto legame tra umanesimo e arte,  il problema artistico a cui si vuole dare risposta -come già indicato da Beuys- è quello di creare "l'immagine dell'uomo", non il modello antropologico di una cultura in particolare, di un'epoca o di un settore sociale, ma l'icona dell'umanità intera, a sostegno, appunto, del percorso evolutivo verso una futura cultura globale. In tal senso la Global Complexity Art procede a comporre l'immagine dell'uomo inseguendo la sua metamorfosi nello spazio e nel tempo, per comporre un ologramma cronotopico che, per le sue interazioni globali, include tutto lo scibile.  Ovviamente è un'operazione complessa che richiede l'ampio spettro multidisciplinare indicato dal connubio arte-scienza. E' in questi termini, sia per l'obiettivo sia per il metodo, che la Global Complexity Art tende a riattualizzare l'antica impostazione umanistica che sottese alla fioritura rinascimentale del XV sec. 


Homo Schizofrenicus
A questo punto va chiarito che i ripetuti riferimenti alla multidisciplinarietà dell'Umanesimo rinascimentale è una scelta calibrata che si associa a uno sviluppo significativo avviato dalla Scienza della complessità, quella di coniugare cultura scientifica e cultura umanistica sotto l'emblema "scienza come arte". Si può dire che è in atto la tendenza a risaldare la storica separazione tra scienza ed arte che subentrò con la fine del Rinascimento. In effetti, la situazione fa pensare ai "corsi e ricorsi" teorizzati da G.B.Vico. Il fatto è che con la fine dell'Umanesimo rinascimentale, l'Europa fu l'epicentro di una epifania storica che, sul piano politico militare sospinse la colonizzazione del mondo intero, mentre sul piano scientifico culturale dette luogo ad una progressiva specializzazione settoriale delle discipline che, dopo un'evoluzione di circa 500 anni, è giunta all'apice della sua funzionalità. Questa è una convinzione diffusa, espressa sia da Beuys che da Prigogine, mentre da anni è stata dibattuta dal noto sociologo francese Edgar Morin, argomentando come la differenziazione sistematica delle conoscenze innestò un crescente suddivisione del saperi, parcellizzato in discipline sempre più specialistiche, per cui l'immagine del mondo e dell'uomo si è frastagliato nei tasselli d'un mosaico di cui nessuno è più in grado di vedere l'insieme. Si è perso il sapere del sapere. Dalla constatazione di questo stato di contraddizione tautologica si è sviluppata la tendenza di invertire il processo dissipativo, avviando un processo implosionale che sostituisce le divisioni disciplinari con approcci interdisciplinari propri alla cultura della complessità. A questo processo di  riconversione dell'organizzazione disciplinare s'innesta un altra inversione di rotta, per sopraggiunta saturazione, che riguarda la tematica complessa della progressiva distanza tra cultura e natura. In pratica l'avvento dell'universo meccanicistico inaugurato da Galileo Galilei e gradualmente sviluppato tramite Newton fino ad Einstein, aveva sancito la fine dell'antica cosmologia dell' "universo vivo" dando forma concettuale all' "universo macchina". Secondo il famoso biologo francese  Jaques Monod, in questo modello cosmologico la fenomenologia della Vita non ha una sua collocazione logica come tale, ma solo nella attraverso la sua riduzione omologata al modello universale della "macchina". Con una tale impostazione di fondo fu inevitabile il progressivo contrasto cultura-natura fomentato dall'evoluzione dalla civiltà industriale, le cui ripercussioni drammatiche coinvolgono ogni aspetto della vita, tanto nella natura ecologica quanto nella natura biologica e psicologica della vita umana. Anche in questo campo dominante, che è la cosmologia, la Scienza della complessità e in testa Ilya Prigogine, hanno provocato una "rottura epistemologica", un ribaltamento epocale che porta a spostare il baricentro concettuale dalla interpretazione meccanicistica del mondo a quella termodinamica che, avendo il calore della Terra origine nel sole, comprende chiaramente i parametri della vita terrestre. Deriva da questo ribaltamento anche una nuova relazione cultura-natura, ciò che uno scienziato come Prigogine ha sintetizzato nel titolo del suo libro "La nuova alleanza", con una visione del mondo indubbiamente neo-umanistica, indirizzata verso un rinnovato connubio di arte-scienza e cultura-natura.

Questa introduzione riassume i concetti base della Global Complexity Art, quello che segue espone l'illustrazione progressivamente più dettagliata di quanto è stato accennato fin qua.